martedì 2 febbraio 2016

Last Night A DJ Saved My Life !!!

Quando si parla di Dance e Disco Music è quasi scontato fare riferimento agli artisti ed ai locali che hanno contribuito alla sua affermazione; per molti il termine Disco Music è ancora legato a Donna Summer, Gloria Gaynor, Chic, Giorgio Moroder, Studio 54 e via discorrendo.  Molto raramente qualcuno porterà in evidenza nomi come Jimmy Savile, Francis Grasso, David Mancuso (solo per citarne tre).  Eppure è proprio grazie al lavoro ed alla passione di questi ed innumerevoli altri personaggi che la “disco” uscì dalla clandestinità e si pose all'attenzione dei media.  La storia della musica dance, la musica da ballo, è legata in maniera indissolubile a coloro che l'hanno suonata : i disc jockey.
Il disc jockey rappresenta l'ultima evoluzione di un ruolo antichissimo.  I suoi predecessori sono numerosissimi, si passa dagli antichi sciamani ai sommi sacerdoti dell'era pagana; dagli eleganti “bandleader” nell'età del jazz ai direttori delle orchestre ingaggiati dai ristoranti e dai locali del jet set.

Solo nei tempi moderni moderni ballo e religione si sono scissi.  
La Bibbia recita “Per tutte le cose c'è un tempo fissato da Dio … un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare … (Ecclesiaste vers.4); nel Talmud ebraico si fa riferimento agli angeli che danzano nel paradiso, la legge rabbinica inoltre stabilisce che si balli ai matrimoni e per gli ortodossi Hasidim viene insegnato a danzare come parte integrante del loro culto.  L'Islam non vede di buon occhio il ballo ma l'ordine  Sufi dei Mevlevi in Turchia vede nella danza vorticante dei Dervisci un mezzo per adorare Allah. La cristianità periodicamente lo ha messo al bando ottenendo l'effetto opposto di praticarlo in maniera clandestina ogni qualvolta si presentava l'occasione. 

Il DJ oggi è il signore delle danze, i più affermati sono diventate vere e proprie star che guadagnano in una serata quello che un “comune mortale” non riesce a guadagnare in un anno di lavoro.   L'evoluzione della professione li ha portati dentro la “stanza dei bottoni” a presiedere direttamente le produzioni … ma non è stato sempre così.  Ed eccoci qui, pronti ad azionare la macchina del tempo, per un tuffo in un passato (non così remoto) alla ricerca di una risposta alla semplice domanda: “Chi fu il Primo DJ ?".

Per non scomodare sciamani, sacerdoti, bandleader e compagnia “suonante” riformulo la domanda: “Chi fu il primo a suonare musica registrata per intrattenere un gruppo di persone” ?

Apro una parentesi storica per meglio focalizzare la scena.
L'invenzione del fonografo a cilindro è da attribuire a Thomas Alva Edison nel 1877 che perfezionò gli studi eseguiti in Francia da Leon Scot de Martenville sulla registrazione di suoni non riproducibili (1857).  Il suo primo fonografo registrava su sottili fogli cilindrici di stagno, aveva una bassa qualità sonora, e distruggeva la traccia durante la riproduzione tanto che si poteva ascoltare la registrazione una sola volta. E' risaputo che Edison non aveva concepito la sua invenzione come uno strumento per suonare musica. 
Un piccolo passo avanti fu compiuto lo stesso anno da Emile Berliner con la creazione del primo grammofono a disco piatto, ma nei primi anni la fedeltà del suono era peggiore dei cilindri fonografici e la potenza molto limitata.  Il passo più importate in questa direzione avvenne nel 1907 quando Lee DeForest inventò il triodo o  valvola termoionica (o tubo a vuoto), primo componente elettronico "attivo" realizzato dall'uomo. Per "attivo" si intende un componente che, grazie ad una fonte esterna di energia, fornisce in uscita un segnale di potenza amplificato.
Quest'ultima invenzione, da una parte favorì lo sviluppo della radio (che finalmente poteva inviare qualcosa di diverso dall'insieme di punti e linee in codice Morse di “marconiana” memoria) e dall'altra diede impulso allo sviluppo dell'invenzione di Berliner, che aveva concepito il disco a piastra circolare come supporto audio all'interno di giocattoli parlanti. In quell'anno Berliner iniziò a produrre autonomamente dischi sotto l'etichetta Berliner Gramophone, entrando in concorrenza con i cilindri prodotti da Edison; fu allora che fissò la velocità dei suoi dischi "intorno ai 70 giri al minuto". Nonostante la velocità dei dischi non era ancora univoca per tutti i dischi prodotti dalle prime “pioneristiche” case discografiche, nel 1925 la velocità del disco fu ufficialmente standardizzata a 78 giri al minuto (per la precisione, a 78,26).  Con la diffusione commerciale dei primi prodotti discografici si aprirono due nuovi mondi: da una parte le Stazioni Radio acquisirono un grande potere  e dall'altro iniziarono a prendere piede i primi collezionisti di musica registrata. Chiusa la parentesi storica.

Il primo rivoluzionario concetto di ballare musica suonata da un DJ non nasce a New York, ma nemmeno a Parigi bensì in un piccolo sobborgo della periferia della industriale città di Leeds: Otley, West Yorkshire.  Nel 1943 in un circolo per lavoratori, al piano superiore dell'edificio, Jimmy Savile (ci ha lasciato il 29 ottobre del 2011) un eccentrico personaggio con la passione per lo swing americano, creò dal nulla una nuova figura professionale.  Armato della sua collezione di 78 giri e di un'improvvisato impianto di amplificazione realizzato da lui stesso recuperando pezzi di vecchi radiotelegrafi e un paio di grammofoni assemblò il primo impianto “Hi Fi” della storia (Hi-Fi per modo di dire) con lo scopo di far ballare la gente e per scoprire le potenzialità della sua idea.  Stando al racconto della sua biografia “As It Happens”  (Besley Books, 1974) la serata non fu priva di inconvenienti “tecnici” migliorati con il tempo grazie all'aiuto dell'amico Dave Dalmour.  In breve tempo la popolarità di questa “nuova formula” di intrattenimento con un dj che “suonava” dal vivo varcò i confini della città al punto che la Mecca Ballrooms, proprietaria di numerose sale da ballo in tutto il Regno Unitò ingaggiò Sevile per portare il suo spettacolo nelle più importanti città inglesi.  Fu in quel periodo che Sevile perfezionò il suo impianto ed ebbe la brillante idea di impiegare due giradischi per colmare lo spazio vuoto tra un brano e l'altro.  Era nato il primo disc jockey della storia e siamo nel lontano 1946.  In seguito iniziarono i primi guai giudiziari, quando un gruppo di etichette discografiche lo denunciarono (vincendo la causa) per aver suonato in pubblico i loro dischi.  Per gli amanti delle legislazioni questo episodio portò alla creazione della PPL (Phonographic Performance Limited) una società a cui tutti i locali dovevano versare una tassa quando utilizzavano musica registrata.  Un decreto del 1946 esentava dal pagamento di tale imposta a condizione che “i dischi non fossero impiegati per sostituire band ed orchestre”. Fu grazie a questo “escamotage” che Sevile riuscì a proseguire nella sua attività di “DJ itinerante” ingaggiando un'orchestra per “non suonare”, e continuò questo mestiere fino al giorno in cui venne assunto a Radio Luxemburg e successivamente (grazie alla popolarità raggiunta) alla BBC come presentatore della trasmissione culto “Top Of The Pops” la cui prima edizione andò in onda nel 1964.
Dobbiamo essere grati Jimmy Savile per aver avuto l'intuizione di suonare dischi in pubblico e per l'idea di impiegare a tale scopo due giradischi. Come scritto nella sua biografia “... idee considerate folli e senza senso quando non hai un penny diventano istantaneamente brillanti; quando inizi a guadagnarci sopra divengono geniali”.

Stabilito che Sevile è stato il primo dj da discoteca al mondo, ad onor del vero le sue “performance” non coincidono con la prima volta dove la gente ballava in un locale musica suonata da dischi; per quanto ci possa risultare sgradito la professione del deejay era stata “robotizzata” prima ancora di esistere, il suo predecessore esisteva già nel 1889 ed era una macchina: il jukebox.
Questa macchina delle meraviglie fu brevettata da Louis Glass, originario di San Francisco, Glass installò il primo esemplare, progettato dalla Pacific Phonograph Co, nella sua città natale al Palais Royal Saloon chiamandolo  “nickel-in-the-slot player”.  Questo “pachiderma tecnologico”  era costituito da una serie di tubi con stetoscopi collegati ad un fonografo elettrico Edison Classe M alloggiato in un armadio di legno di quercia.  Funzionava a monete (US 3 cent nikel) ed era corredato da salviettine di cotone per la pulizia degli auricolari dopo l'utilizzo.  Anche Edison realizzò alcune macchine simili, con la variante del posizionamento su carrelli della struttura contenitiva. Quest'ultimo particolare consentì di mostrare le sue “creature” a fiere e mostre in tutto il paese.  Fu con l'avvento dell'amplificazione (e lo sviluppo dei primi componenti elettronici) che queste macchine iniziarono a diffondersi a macchia d'olio in tutto il paese in bar, taverne e pub, soprattutto nelle cittadine rurali del Sud.  Si stima che alla vigilia della “Grande Depressione” ce ne fossero in circolazione oltre 15.000. Quando la crisi economica colpì duro, i proventi derivati dall'impiego dei jukebox e dal loro continuo rifornimento con le ultime novità fu essenziale per la salvezza dell'industria musicale. La fine del proibizionismo nel 1933 diede un notevole impulso alla diffusione di queste “sound machine” in quanto là dove prima si trovavano bische e locali per lo spaccio clandestino di liquori vennero alla luce bar e ritrovi per il tempo libero e tutti avevano il loro jukebox.  All'inzio della seconda guerra mondiale il loro numero era cresciuto a circa 500.000.  
Il jukebox si rivelò inoltre uno strumento utilissimo per determinare l'andamento della popolarità dei brani ascoltati.  Da queste macchine si riusciva a determinare il numero delle volte in cui un motivo era stato ascoltato dando spunto per la creazione delle prime classifiche di gradimento. La US Top 40 (madre di tutte le classifiche) nacque proprio in funzione dei dati raccolti dai jukebox.
La massima diffusione del jukebox avvenne negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale quando il suo dominio si estese da bar e locali (che erano stati la loro dimora abituale) per  raggiungere dinner ed i drugstore, cioè i locali frequentati dai giovani, che finalmente potevano assaporare il piacere del ballo prerogativa che fino ad allora era riservata agli adulti.  Quanti di noi, che ormai abbiamo una certa età, non ricordano con piacere la serie TV “Happy Days”; e ancora quanti non avrebbero voluto essere nei panni di Fonzie che con un colpo faceva partire il motivo giusto nel momento giusto!

Fu questa “macchina” a contribuire alla definitiva esplosione dell'R&B e del Rock n'Roll e se vogliamo a porre il cartello FINE alla dipendenza dei locali della musica live e quindi a preparare il terreno per l'avvento dei dj.
I primi eventi che videro la presenza di dj dal vivo furono i balli studenteschi degli anni cinquanta, altresì noti come platter party o sock hop.  Questi raduni si svolgevano quasi sempre nelle palestre degli istituti scolastici (dove per evitare di rovinare il parquet bisognava entrare scalzi, da qui il termine sock hop). 
Si trattava quasi sempre di eventi legati ai cicli scolastici (apertura e chiusura dell'anno accademico) e venivano ingaggiati i dj delle radio locali che in pratica promuovevano le loro trasmissioni.  Uno di questi personaggi, il dj Dick Clark ebbe la brillante idea di filmare l'evento ed in breve tempo la stazione televisiva WFIL-TV Channel 6 di Philadelfia ne fece una trasmissione “American Bandstand” che in poco tempo divenne talmente popolare da indurre l'ABC (una delle tre reti nazionali) ad acquistarne i diritti per la diffusione in tutta la nazione.  DJ dilettanti “spuntarono come funghi” appropriandosi dell'idea e ben presto l'organizzazione di questi “party” diventò una cosa di ordinaria amministrazione tra i giovani americani.  Per molti che provavano, pochissimi riuscirono a ritagliarsi un po' di fama fuori dal contesto cittadino in cui operavano.  Uno di questi merita una citazione in quanto portò un importante innovazione “tecnologica”.  
Bob Casey, che diventò popolare in Vietman come dj dell'esercito, nel 1957 ai tempi in cui frequentava le scuole superiori, utilizzava per le proprie “performance” un doppio giradischi realizzato dal padre (che era un tecnico del suono) con microfono installato in um unico blocco, due manopole per abbassare ed alzare i volumi.  In questo modo riusciva a dare continuità alla musica passando da un pezzo all'altro , impiegando il microfono per presentare il brano mentre alzava il volume del disco entrante.  Siamo ancora lontani dalla “club-culture” ma non posiamo negare che senza le sperimentazioni di questi “proto-dj” questo fenomeno non sarebbe mai diventato tale. 

A questo punto i semi, che avevano incontrato un terreno fertile, stavano per germogliare e la continuità di narrazione mi spinge nella direzione dei locali (o meglio nei luoghi) dove il fenomeno “prese il volo” .

lunedì 1 febbraio 2016

Back To The Past: alle origini di un fenomeno chiamato Disco

Quando è nata la Disco Music ?

Questa domanda apparentemente molto semplice nasconde in realtà “insidie” da non sottovalutare.  Il polinomio “danza-musica-dj-discoteca”  infatti si presta  a coniugazioni sempre più complesse dal momento che i singoli “monomi” vengono messi in relazione con il contesto sociale, politico e culturale nei quali si sono sviluppati.
Quando parliamo di danza, parliamo della più antica delle arti sceniche (con la musica ed il teatro) che ha per strumento il corpo umano. Un pensiero al passato è d'obbligo: in tutte le civiltà antiche, dagli egizi ai greci, dagli indiani ai cinesi i richiami a quest'arte sono noti; ma se proprio vogliamo scavare in profondità scopriamo che i primi riferimenti si trovano addirittura nei graffiti del Paleolitico ritrovati in quasi la totalità del pianeta.  Mi piace pensare all'uomo che viveva nelle caverne o nelle prime rudimentali capanne che di giorno, con i suoi compagni si avventurava nei vasti territori a caccia di animali il più delle volte più grandi e pericolosi di lui e che di notte sotto la luce delle stelle e dei falò, in un'atmosfera creata dal suono di percussioni e tamburi tribali si abbandonava in danze sfrenate per celebrare la vita ed entrare in comunione con gli dei.  A presiedere tutto questo il più delle volte c'era il capo villaggio, lo sciamano, lo stregone o il gran sacerdote il cui compito era quello di creare l'atmosfera (magari distribuendo erbe rituali ed intrugli di varia natura) e dettare i tempi della celebrazione.
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Come vedete il paragone con i primi dj che diedero impulso al movimento “calza assai a pennello”.  Ora capite bene che questo tipo di considerazioni si potrebbero estendere per ciascun elemento preso in considerazione se relazionato con gli aspetti che menzionavo qualche riga sopra e potrebbero portare ad una narrazione che finirebbe con il tediare il lettore.  Non resta che effettuare una scelta precisa e muoversi avanti ed indietro nel tempo cercando di mettere a fuoco tutti gli aspetti che condizioneranno lo sviluppo delle argomentazioni che andrò a proporvi.

Il punto di partenza che ho deciso di seguire è il seguente: quando è stato impiegato per la prima volta il termine disco music ?
Il primo riferimento alla disco music la si trova in un articolo firmato da Vince Aletti e pubblicato sul “magazine” “Rolling Stones” nel settembre del 1973 che impiegò questo termine per descrivere l'insieme delle musiche che venivano suonate nei club underground di New York.  Peccato che la storia arrivi sempre prima che qualcuno possa fotografarla ed etichettarla con una definizione infatti al termine disco si arriva dopo percorso per certi versi lungo e tortuoso.  

Partiamo dal termine: Disco è la contrazione del termine francese “discoteque” ovvero “raccolta di dischi” ma più verosimilmente a “La Discoteque”  un piccolo locale di Parigi, situato ad un isolato a sud della Senna nel 5° Arrondissement (il Quartiere Latino) in un seminterraneo di Rue De La Huchette dove i suoi frequentatori in gran parte “Zazou”, oltre ai vari Pastis e Pernod potevano ordinare il loro 78 o 45 giri jazz preferito.  Siamo in piena occupazione nazista
e va ricordato che nel 1939 Adolf Hitler promulgò una legge che metteva al bando i musicisti di colore. All'incirca nello stesso periodo tutti i giovani tra i quattordici ed i diciotto anni dovevano iscriversi alla “Hitlerjugend” (Gioventù Hitleriana) mente le ragazze della stessa età alla “Bund Deutscher Mädel” (Federazione delle Giovani Tedesche). In contrapposizione nacque un movimento  alternativo che si diffuse rapidamente in tutta la Germania: la “Swing Jugend” (Gioventù Swing) costituito principalmente da giovani del ceto medio- alto, in gran parte apolitici che portavano capelli lunghi ed abbigliamento fuori dell'ordinario che per gusto musicale prediligevano il jazz, musica definita dal regime “creata da scimmie negre afroamericane e diffusa dall'industria dei media dominate da ebrei”.  E' inutile che vi dica che gli incontri avvenivano in forma clandestina e che in questi party era presente un “dj” (o meglio un precursore di esso) che curava le selezioni musicale.

In breve tempo il movimento prese piede in quasi tutti i territori occupati pur assumendo denominazioni differenti: Schlurfs in Austria, Potàpki in Cecoslovacchia e Zazous in Francia. 
OK ! Tutto bello e tutto vero, ma stiamo parlando di anni 40 e di Europa e siamo abbastanza lontani dall'anno 1973 e soprattutto dalla New York descritta da Vince Aletti.  
Agli inizi degli anni 70 New York City era diventata il manifesto di tutto quello che negli States andava a rotoli. Pensiamo a film di successo come Taxi Driver, Un uomo da marciapiede (Midnight Cowboy), Quel pomeriggio di un giorno da cani (Dog Day Afternoon), Shaft e Il giustiziere della notte (Death Wish) solo per citarne alcuni la dipingevano come una città sull'orlo del baratro, in piena decadenza civile, morale e spirituale, campo giochi per il peggiore prodotto della società (spacciatori, delinquenti, protettori e poliziotti corrotti).  Eppure appena qualche anno prima un altro film cult di quegli anni “A piedi nudi nel parco” (Barefoot in the Park) del 1967 aveva mostrato una New York diversa, la città dimora per eccellenza per giovani coppie.  Com'era potuto succedere un così repentino cambiamento in così pochi anni?

La fine degli anni sessanta alimentato dall'entusiasmo giovanile aveva portato il periodo di maggior prosperità che il mondo avesse mai attraversato.  Il manifesto politico del presidente Johnson, denominato “Great Society”, che aveva per obbiettivi riforme sociali epocali come l'eliminazione della povertà e l'abolizione delle diseguaglianze razziali si erano frantumate non appena le condizioni economiche avevano iniziato a venir meno: i sogni si erano trasformati in disillusione, le marce per i diritti civili sfociarono in disordini razziali; Martin Luther King e John F. Kennedy furono assassinati nel '68.  
La guerra in Vietnam contribuì notevolmente ad aizzare i giovani contro il governo e le grandi imprese che l'appoggiavano; dall'altra parte della barricata, le generazioni precedenti rimproveravano a quest'ultimi la mancanza di “valori” e la perdita del rispetto per l'autorità.  
Un forte cambiamento demografico aveva investito New York quando in quegli anni venne abolita la legge sulla regolamentazione dei flussi migratori per chiunque non provenisse dall'Europa.  La prima conseguenza fu che un gran numero di asiatici, latinoamericani e ispano caraibici si trasferì in massa verso le metropoli settentrionali (Chicago, New York e Philadelphia). 
La maggior parte di questi “nuovi arrivati” era costituita da lavoratori non specializzati ed il loro arrivo coincise con l'inizio della crisi del settore manifatturiero che fino ad allora aveva dato loro occupazione.  Ad aggravare il problema fu che il flusso migratorio coincise con l'esodo della popolazione bianca verso i sobborghi.  La “fuga dei bianchi” portò ad una drastica riduzione del gettito fiscale cittadino, proprio quando l'amministrazione municipale aveva necessità di aumentare il “budget di spesa”.   
In questo calderone dal potenziale esplosivo nel giugno del 1969 si verificò la “rivolta di Stonewall” .


Lo Stonewall Inn situato nel Greenwich Village, a Manhattan  fu il locale dove cominciarono a manifestarsi i primi vagiti del movimento per i diritti gay. Davanti a questo bar, travestiti ed habitué omosessuali si ribellarono (per coincidenza nello stesso giorno in cui si celebrò il funerale di Judy Garland) contro i poliziotti responsabili delle violente retate autorizzate da una ridicola legge discriminatoria che impediva a persone dello stesso sesso di “fraternizzare” e ballare insieme. La rivolta che ne nacque e la copertura data all'evento dai media, modificò da un giorno all'altro l'atteggiamento dell'opinione pubblica verso gli omosessuali e pose le basi per far uscire  il “sound” che in quegli ambienti si era sviluppato dal mondo underground.

Musica e Club cultura si muovevano spesso a “braccetto”.  L'eredità degli anni 60 aveva favorito un palcoscenico basato sulla notorietà; sugli elementi di spicco del jet set, attori e attrici del grande schermo, modelli e ragazze da copertina.  L'atmosfera “psichedelica” finì con la crisi del rock. I Beatles si sciolsero, Jimi Hendrix e Janis Joplin morirono ed il rock stava mutando abbandonando le prime forme ballabili che ne avevano fatto la fortuna per spingersi verso lavori di concetto, rock opere ed esaltazioni “progressive” del suo strumento principe: la chitarra.  Perdendo i requisiti di ballabilità nei club iniziarono a prendere sempre più piede il Rhythm Blues, il Soul e i ritmi latini.

E fu così che piano piano artisti del calibro di Four Tops, Temptations, James Brown, Suprimes e moltissimi altri iniziarono a far conoscere i loro nomi e la loro musica al di fuori della “nicchia etnica” dentro la quale erano rimasti rinchiusi fino ad allora. 
La profonda recessione in atto negli USA aveva portato i magnati dell'industria discografica a volgere più di un'attenzione ai generi musicali suonati nei quartieri a forte prevalenza afroamericana e latina creando etichette sussidiare in cui figuravano artisti la cui musica si sposava con le nuove tendenze.  
Anche le radio diedero il loro contributo. Il sound che per oltre un ventennio era stato un'”esclusiva” di emittenti quali WERD e WDIA (le prime radio gestite e controllate da neri) infranse il monopolio e si diffuse a “macchia d'olio” in tutta la nazione.  
Nel 1971 una domanda diventò il tormentone ripetuto in continuazione dalle stazioni radio: “Who's the black private dick That's a sex machine to all the chicks?” (Chi è l'investigatore privato nero che tutte le “pupe” considerano una sex-machine?).  “Shaft” di Isaac Hayes contribuì molto a far attecchire quel seme musicale che via via prendeva forma.  Nel frattempo entrò in scena anche Barry White e la sua orchestra, la Love Unlimited le cui voci, tutte femminili,  non erano certamente progettate per far alzare la gente e ballare ma che ebbero comunque il merito di fare da contrappunto a quello che nel lavori successivi del “Maestro” diventarono il suo inconfondibile marchio di fabbrica ovvero la sua voce bassa, sexy ed accattivante.  
In mezzo a tutto questo nel 1974 esplose “Love's Theme”, forse uno dei suoi migliori lavori strumentali, hit che raggiunse la vetta delle classifiche e diede il là all'emergente cultura disco, ansiosa di perdersi in quell'universo di melodie incantevoli ben distanti dalla realtà assai più squallida.  
La stagione della fruizione “passiva” della musica stava inesorabilmente avviandosi alla fine.  Una nuova generazione di edonisti stava abbandonando il rock in favore di quel “nuovo sound” che sebbene nelle riviste specializzate veniva definito ancora con il termine “soul” stava andando sempre più a definirsi come “sound party”, molto leggero per essere soul ma decisamente più incisivo nelle percussioni e nelle “bass-line” dei primi brani di artisti come Sly And Family Stone, Stevie Wonder, Incredible Bongo Band ecct. che spinti dalla diffusione delle radio vendettero decisamente più copie di quelle preventivate e contribuirono a costituire le fondamenta di quello che sarebbe diventato il fenomeno culturale del decennio. 

A Philadelphia, due produttori locali, Kenneth (Kenny) Gamble e Leon Huff da alcuni anni si stavano dando da fare per “modernizzare” il soul di stampo Motown.  Il primo lavoro dove si può percepire (anche se lievemente) l'impronta del Philly Sound è nel 45 giri di Barbara Mason “Yes, I'm Ready” che nella primavera del 1965 arrivò al #5 delle US Pop Chart.  
In questo lavoro gli archi “lavorano”  con il ritmo e non contro, elemento questo che avrebbe caratterizzato tutte le future produzioni del duo.  

Nel 1971 Gamble & Huff fondano la Philadelphia International Records (PIR), dopo un mancato accordo per la distribuzione con la Neptune Records e la Chess Records, trovarono un accordo con la CBS, colosso del mercato della musica che stava cercando di emergere nel mercato della “musica nera”. Con la potenza promozionale della “major” la PIR firmò i primi due successi mondiali: “Back Stabber's” e “I Love Music” degli O'Jays.  In brevissimo tempo i successi si susseguirono  a ritmo vertiginoso, così come gli artisti messi sotto contratto: Archie Bell &The Drells, Jerry Butler, The Ebonys, The Intruders, Billy Paul, Harold Melvin & The Blue Notes, O'Jays, Teddy Pedergrass, Lou Rawls, Bunny Sigler, Three Degrees, Dexter Wansel solo per citarne alcuni e soprattutto la M.F.S.B. (Mothers, Fathers, Sisters and Brothers) che della PIR era l'orchestra “ufficiale” .  Come accennato in precedenza la caratteristica predominante delle produzioni targate G&H stava nell'utilizzo degli archi e delle sezioni fiati come parte strettamente legata alla ritmica dominante.  Il successo del 1973 di Harold Melvin & Blue Notes “The Love I Lost”  rappresenta la nascita della disco intesa come genere, l'inizio della codifica di questo “sound” come stile e non come gusto personale del dj impegnato a suonarla.  In questo brano è rappresentato il compendio o per meglio dire l'epitome (ovvero ciò che resta di un'opera estesa quando ad essa vengono tolte – a torto o a ragione – le parti ritenute superflue) della dance music: charleston sibilante, basso dal suono martellante, fiati con gli accenti in crescendo, archi che prendono il volo, timbriche gospel dei loro interpreti che lavorano in sintonia con i cori dolci ed armoniosi.

Anche a Miami, Florida, qualcosa si stava muovendo. Il produttore Henry Stone, stava per dar fuoco ad un'altra miccia che avrebbe contribuito all'esplosione della disco.  

Stone era balzato agli onori delle cronache quando nel 1972 aveva portato al successo (Top10 45 giri) il brano di Betty Wright “Clean Up Woman” .
Ad accompagnare i tour della cantante faceva parte un gruppo nel quale militava Harry Casey (che avrebbe riscosso un'incredibile successo poco più tardi con KC And The Sunshine Band) e due coristi, marito e moglie, George e Gwen Mc Crae.  Fu proprio Stone ad intuire che George Mc Crae sarebbe stato perfetto per lanciare un brano scritto da Casey con la collaborazione di Rick Finch ingegnere del suono della neonata TK.  
Quando nell'estate del 1974 il brano “Rock You Baby” venne pubblicato si verificò un vero e proprio cataclisma.  Il brano si proiettò in cima alle classifiche di mezzo mondo conquistando diversi dischi di platino; brano solare, discreto, dolce e persuasivo provocò un terremoto nelle piste da ballo risultando gradito al pubblico che apprezzò in maniera entusiastica questa ondata di novità.   
Il “disco sound” stava diventando qualcosa di più di un fenomeno a breve termine e dati alla mano il nuovo genere con i suoi pezzi stava scalando le classifiche. All'inizio del 1975 “Voulez-vous coucher avec moi?”  diventarono le parole in lingua francese più pronunciate sul pianeta grazie alle Labelle ed a “Lady Marmalade”, brano decisamente “provocatorio” ed “azzardato” per gli standard dell'epoca abituati sì a parlare di amore, ma non di “piacere squisitamente carnale”.  Sempre in quell'anno altri due brani sconvolsero il panorama musicale mondiale. “The Hustle”, di Van McCoy che con 8 milioni di singoli venduti contribuì a “sdoganare” una forma di ballo figurato che non aveva mai fatto capolino fuori dall'East Side di New York. Questo successo diede un notevole impulso anche alle numerose scuole di danza presenti  negli States dove una ondata di ballerini del fine settimana si precipitarono per perfezionare le tecniche di base da esibire sul dancefloor dei locali dove la “dancemania” stava imperversando incontrastata.  
Gloria Gaynor ebbe il merito di colmare una lacuna fondamentale per gli addetti ai lavori dei clubs del periodo: la lunghezza dei brani.  La Side A dell'album “Never Can Say Goodbye” fu il primo medley di canzoni fuse tra loro senza pause, “Honey Bee” scivolava in “Never Can Say Goodbye”  che a sua volta si trasformava in “Reach Out, I'll Be There” per un totale di quasi venti minuti in grado di costringere i ballerini ad un “tour de force” senza precedenti e diventando una formula che sarebbe diventata lo standard delle discoteche.  

Diversi anni prima dell'ascesa della disco aveva portato tre fratelli ebrei di origine mediorientale, Joe, Ken e Stan Cayre a creare la Caytronics e dare la luce alla loro prima etichetta la Mericana Records che si rivolgeva principalmente al mercato latino americano di importazione. L'idea di miscelare le sonorità latine con le ritmiche R&B e di sottolinearlo con gli archi in stile Philly Sound si rivelarono un'intuizione vincente per la Salsoul Records etichetta del gruppo che anni prima aveva ottenuto visibilità grazie a Joe Bataan, cantante afro-filippino, che con il rifacimento del successo di Gil Heron Scott “The Bottle” era riuscito a vendere più di ventimila copie nella sola New York.  La Salsoul Orchestra, che dell'etichetta era l'orchestra ufficiale, voluta da Ken Cayre ed assemblata dal vibrafonista Vince Montana (già M.F.S.B) impiegando una buona parte dei musicisti turnisti della PIR, si impose fin dagli esordì e contribuì a far diventare in breve tempo l'etichetta più importante della scena disco. 

La presenza di ritmi automatizzati e meccanici nella storia della musica afroamericana fece sì che i detrattori della disco si trovassero su un terreno ideologicamente parlando alquanto “instabile” quando per l'appunto ne criticavano la ripetitività e le caratteristiche meccaniche; dopo tutto non potevano denigrare il loro tanto amato “funk”.  Venne quasi naturale colpevolizzare un fenomeno proveniente dall'altra parte dell'Atlantico, nella nostra cara Europa.  

Il “nuovo sound” che aveva contagiato il vecchio continente trovò terreno fertile in tutti quegli artisti che da diverso tempo lottavano per ottenere oltreoceano il successo e la risonanza che si erano ampiamente conquistato a livello nazionale e continentale. Il più delle volte i tentativi di “americanizzazione” portarono a risultati poco soddisfacenti dovuti soprattutto al fatto che gli arrangiamenti stravaganti e le pessime dizioni difficilmente avrebbero fatto decollare certi lavori; inoltre il ruolo principale era spesso attribuito  ai produttori e non ai cantanti.  Nonostante ciò gli sforzi profusi riuscirono a sfornare pezzi che funzionavano, grazie a melodie d'autore, abilità produttive e magnetismo riuscivano a scatenare l'irresistibile ”estasi” disco.  Alcuni personaggi di questi avrebbero comunque lasciato una traccia profonda nella storia della disco music: Giorgio Moroder, Alec R. Costandinos, Cerrone, Amanda Lear, i produttori Morali e Belolo, Michael Kunze e Sylvester Levay (Silver Convention) Frank Farian (Boney M) e se proprio vogliamo spingerci oltre i “confini” della disco-sound anche gli Abba.


Il 1977 fu un anno particolare per l'industria musicale; morì il grande Bing Crosby, il re del rock & roll Elvis Presley, la regina della lirica Maria Callas … ed uscì “Saturday Night Fever” (La Febbre del Sabato Sera), il più grande successo disco di tutti i tempi, che ebbe un impatto sulla cultura popolare maggiore di quanto non avesse fatto sul finire degli anni 50 “Rebel Without A Cause” (Gioventù Bruciata). Uscito sul finire di quell'anno la pellicola incassò più di cento milioni di dollari e l'album vendette qualcosa come trenta milioni di copie.  La colonna sonora era “disco” per modo di dire, nel senso che aveva sì tutti gli elementi della disco (linee di basso incalzanti, percussioni e ritmiche latine, cori maschili in falsetto) ma di fatto si trattava di pop rivisto e lucidato per l'occorrenza.  La perfezione nelle esecuzioni dei Bee Gees, la performance di John Travolta e la perfetta sinergia tra film e colonna sonora spinta oltremisura dai media calamitarono sulla “disco” un'attenzione ed una visibilità senza precedenti. Quando in occasione della terza Disco Convention organizzata da Billboard presso l'Hotel Americana di New York emerse il dato pubblico che la musica dance, dalle sue prime apparizioni aveva prodotto un giro d'affari di oltre quattro miliardi di dollari (forse senza tenere conto dei profitti derivati da Club, Bar e vendite di impianti luci ed audio), fu chiaro a molti che la “torta” era appetitosa e una “fetta” non sarebbe stata negata a nessuno.  Mi piace pensare che “Saturday Night Fever” abbia contribuito a traghettare definitivamente la “Disco Music” dal contesto “underground”, dove era nata e si era sviluppata, a quello “popolare” che si rivelò un punto di non ritorno. 

Da quel momento in troppi cercarono di replicarne il successo (senza peraltro riuscirvi)  la musica continuò ad impoverirsi di tutti quei contenuti di freschezza ed originalità che avevano contribuito alla sua affermazione.  Un'eccessiva inflazione di nuove uscite (a ritmo settimanale) resero inoltre difficile tra gli addetti ai lavori la ricerca di prodotti in grado di soddisfare i “palati più fini” (qualche lavoro interessante venne comunque pubblicato anche  nel periodo 79-81).  Tendenze e stile di vita stavano mutando, così come l'età di chi aveva vissuto “intensamente” quegli anni. Quando nel 1980 Steve Rubell, creatore e direttore dello Studio 54, il locale che più di tutti rappresentò l'espressione della disco-popolare, venne arrestato per possesso di droga e frode al fisco, l'ultimo alone di magia svanì definitivamente.   Nonostante il declino di questa musica, i suoi fans più devoti riuscirono a trovare nuova linfa nelle produzioni provenienti dal Canada e dall'Europa.  Con il crollo delle vendite sul mercato americano, la cultura disco fece ritorno nei ghetti (da dove era partita) e si riciclò ben presto nel rap; in Inghilterra  grazie a produttori come Ian Levine e Fiachra Trench rinacque come HI-NGR, utilizzando voci del Northern Soul (mai menzionato in questo articolo in quanto il fenomeno merita un approfondimento a parte) degli anni settanta; nel resto d'Europa decollò sottoforma di motivi orecchiabili e melodici che più tardi assumerà la definizione Italo Disco.  

In conclusione non credo ci sia mai stato un fenomeno della cultura popolare tanto controverso: o l'amavi o l'odiavi. Si è detto che se ti ricordi gli anni sessanta non eri lì, mentre se ti ricordi degli anni settanta  eri qui, la e dovunque girasse una “mirror-ball”.