Quando si
parla di Dance e Disco Music è quasi scontato fare riferimento agli artisti ed
ai locali che hanno contribuito alla sua affermazione; per molti il termine
Disco Music è ancora legato a Donna Summer, Gloria Gaynor, Chic, Giorgio
Moroder, Studio 54 e via discorrendo.
Molto raramente qualcuno porterà in evidenza nomi come Jimmy Savile,
Francis Grasso, David Mancuso (solo per citarne tre). Eppure è proprio grazie al lavoro ed alla
passione di questi ed innumerevoli altri personaggi che la “disco” uscì dalla
clandestinità e si pose all'attenzione dei media. La storia della musica dance, la musica da
ballo, è legata in maniera indissolubile a coloro che l'hanno suonata : i disc
jockey.
Il disc
jockey rappresenta l'ultima evoluzione di un ruolo antichissimo. I suoi predecessori sono numerosissimi, si
passa dagli antichi sciamani ai sommi sacerdoti dell'era pagana; dagli eleganti
“bandleader” nell'età del jazz ai direttori delle orchestre ingaggiati
dai ristoranti e dai locali del jet set.
Solo nei
tempi moderni moderni ballo e religione si sono scissi.
La Bibbia recita “Per tutte le cose c'è un
tempo fissato da Dio … un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo
per far cordoglio e un tempo per ballare … (Ecclesiaste vers.4); nel
Talmud ebraico si fa riferimento agli angeli che danzano nel paradiso, la legge
rabbinica inoltre stabilisce che si balli ai matrimoni e per gli ortodossi
Hasidim viene insegnato a danzare come parte integrante del loro culto. L'Islam non vede di buon occhio il ballo ma
l'ordine Sufi dei Mevlevi in Turchia
vede nella danza vorticante dei Dervisci un mezzo per adorare Allah. La
cristianità periodicamente lo ha messo al bando ottenendo l'effetto opposto di
praticarlo in maniera clandestina ogni qualvolta si presentava
l'occasione.
Il DJ oggi è
il signore delle danze, i più affermati sono diventate vere e proprie star che
guadagnano in una serata quello che un “comune mortale” non riesce a guadagnare
in un anno di lavoro. L'evoluzione
della professione li ha portati dentro la “stanza dei bottoni” a presiedere
direttamente le produzioni … ma non è stato sempre così. Ed eccoci qui, pronti ad azionare la macchina
del tempo, per un tuffo in un passato (non così remoto) alla ricerca di una
risposta alla semplice domanda: “Chi fu il Primo DJ ?".
Per non
scomodare sciamani, sacerdoti, bandleader e compagnia “suonante” riformulo la
domanda: “Chi fu il primo a suonare musica registrata per intrattenere un
gruppo di persone” ?
Apro una
parentesi storica per meglio focalizzare la scena.
L'invenzione
del fonografo a cilindro è da attribuire a Thomas Alva Edison nel 1877 che
perfezionò gli studi eseguiti in Francia da Leon Scot de Martenville sulla
registrazione di suoni non riproducibili (1857). Il suo primo fonografo registrava su sottili
fogli cilindrici di stagno, aveva una bassa qualità sonora, e distruggeva la
traccia durante la riproduzione tanto che si poteva ascoltare la registrazione
una sola volta. E' risaputo che Edison non aveva concepito la sua invenzione
come uno strumento per suonare musica.
Un piccolo passo avanti fu compiuto lo
stesso anno da Emile Berliner con la creazione del primo grammofono a disco
piatto, ma nei primi anni la fedeltà del suono era peggiore dei cilindri
fonografici e la potenza molto limitata.
Il passo più importate in questa direzione avvenne nel 1907 quando Lee
DeForest inventò il triodo o valvola termoionica (o tubo a vuoto), primo
componente elettronico "attivo" realizzato dall'uomo. Per
"attivo" si intende un componente che, grazie ad una fonte esterna di
energia, fornisce in uscita un segnale di potenza amplificato.
Quest'ultima
invenzione, da una parte favorì lo sviluppo della radio (che finalmente poteva
inviare qualcosa di diverso dall'insieme di punti e linee in codice Morse di
“marconiana” memoria) e dall'altra diede impulso allo sviluppo dell'invenzione
di Berliner, che aveva concepito il disco a piastra circolare come supporto
audio all'interno di giocattoli parlanti. In quell'anno Berliner iniziò a
produrre autonomamente dischi sotto l'etichetta Berliner Gramophone, entrando
in concorrenza con i cilindri prodotti da Edison; fu allora che fissò la
velocità dei suoi dischi "intorno ai
70 giri al minuto". Nonostante la velocità dei dischi non era ancora
univoca per tutti i dischi prodotti dalle prime “pioneristiche” case
discografiche, nel 1925 la velocità del disco fu ufficialmente standardizzata a
78 giri al minuto (per la precisione, a 78,26).
Con la diffusione commerciale dei primi prodotti discografici si
aprirono due nuovi mondi: da una parte le Stazioni Radio acquisirono un grande
potere e dall'altro iniziarono a prendere piede i primi
collezionisti di musica registrata. Chiusa la parentesi storica.
Il primo
rivoluzionario concetto di ballare musica suonata da un DJ non nasce a New
York, ma nemmeno a Parigi bensì in un piccolo sobborgo della periferia della
industriale città di Leeds: Otley, West Yorkshire. Nel 1943 in un circolo per lavoratori, al
piano superiore dell'edificio, Jimmy Savile (ci ha lasciato il 29 ottobre del
2011) un eccentrico personaggio con la passione per lo swing americano, creò
dal nulla una nuova figura professionale.
Armato della sua collezione di 78 giri e di un'improvvisato impianto di
amplificazione realizzato da lui stesso recuperando pezzi di vecchi
radiotelegrafi e un paio di grammofoni assemblò il primo impianto “Hi Fi” della
storia (Hi-Fi per modo di dire) con lo scopo di far ballare la gente e per
scoprire le potenzialità della sua idea.
Stando al racconto della sua biografia “As It Happens” (Besley Books, 1974) la serata non fu priva
di inconvenienti “tecnici” migliorati con il tempo grazie all'aiuto dell'amico
Dave Dalmour. In breve tempo la
popolarità di questa “nuova formula” di intrattenimento con un dj che “suonava”
dal vivo varcò i confini della città al punto che la Mecca Ballrooms,
proprietaria di numerose sale da ballo in tutto il Regno Unitò ingaggiò Sevile
per portare il suo spettacolo nelle più importanti città inglesi. Fu in quel periodo che Sevile perfezionò il
suo impianto ed ebbe la brillante idea di impiegare due giradischi per colmare
lo spazio vuoto tra un brano e l'altro.
Era nato il primo disc jockey della storia e siamo nel lontano
1946. In seguito iniziarono i primi guai
giudiziari, quando un gruppo di etichette discografiche lo denunciarono
(vincendo la causa) per aver suonato in pubblico i loro dischi. Per gli amanti delle legislazioni questo
episodio portò alla creazione della PPL (Phonographic Performance Limited) una
società a cui tutti i locali dovevano versare una tassa quando utilizzavano
musica registrata. Un decreto del 1946
esentava dal pagamento di tale imposta a condizione che “i dischi non fossero
impiegati per sostituire band ed orchestre”. Fu grazie a questo “escamotage”
che Sevile riuscì a proseguire nella sua attività di “DJ itinerante”
ingaggiando un'orchestra per “non suonare”, e continuò questo mestiere fino al
giorno in cui venne assunto a Radio Luxemburg e successivamente (grazie alla
popolarità raggiunta) alla BBC come presentatore della trasmissione culto “Top
Of The Pops” la cui prima edizione andò in onda nel 1964.
Dobbiamo essere
grati Jimmy Savile per aver avuto l'intuizione di suonare dischi in pubblico e
per l'idea di impiegare a tale scopo due giradischi. Come scritto nella sua
biografia “... idee considerate folli e senza senso quando non hai un penny
diventano istantaneamente brillanti; quando inizi a guadagnarci sopra divengono
geniali”.
Stabilito
che Sevile è stato il primo dj da discoteca al mondo, ad onor del vero le sue
“performance” non coincidono con la prima volta dove la gente ballava in un
locale musica suonata da dischi; per quanto ci possa risultare sgradito la
professione del deejay era stata “robotizzata” prima ancora di esistere, il suo
predecessore esisteva già nel 1889 ed era una macchina: il jukebox.
Questa
macchina delle meraviglie fu brevettata da Louis Glass, originario di San
Francisco, Glass installò il primo esemplare, progettato dalla Pacific
Phonograph Co, nella sua città natale al Palais Royal Saloon chiamandolo “nickel-in-the-slot player”. Questo “pachiderma tecnologico” era costituito da una serie di tubi con
stetoscopi collegati ad un fonografo elettrico Edison Classe M alloggiato in un
armadio di legno di quercia. Funzionava
a monete (US 3 cent nikel) ed era corredato da salviettine di cotone per la pulizia
degli auricolari dopo l'utilizzo. Anche
Edison realizzò alcune macchine simili, con la variante del posizionamento su
carrelli della struttura contenitiva. Quest'ultimo particolare consentì di
mostrare le sue “creature” a fiere e mostre in tutto il paese. Fu con l'avvento dell'amplificazione (e lo
sviluppo dei primi componenti elettronici) che queste macchine iniziarono a
diffondersi a macchia d'olio in tutto il paese in bar, taverne e pub,
soprattutto nelle cittadine rurali del Sud.
Si stima che alla vigilia della “Grande Depressione” ce ne fossero in
circolazione oltre 15.000. Quando la crisi economica colpì duro, i proventi
derivati dall'impiego dei jukebox e dal loro continuo rifornimento con le
ultime novità fu essenziale per la salvezza dell'industria musicale. La fine
del proibizionismo nel 1933 diede un notevole impulso alla diffusione di queste
“sound machine” in quanto là dove prima si trovavano bische e locali per lo
spaccio clandestino di liquori vennero alla luce bar e ritrovi per il tempo
libero e tutti avevano il loro jukebox.
All'inzio della seconda guerra mondiale il loro numero era cresciuto a
circa 500.000.
Il jukebox si rivelò
inoltre uno strumento utilissimo per determinare l'andamento della popolarità
dei brani ascoltati. Da queste macchine
si riusciva a determinare il numero delle volte in cui un motivo era stato
ascoltato dando spunto per la creazione delle prime classifiche di gradimento.
La US Top 40 (madre di tutte le classifiche) nacque proprio in funzione dei
dati raccolti dai jukebox.
La massima
diffusione del jukebox avvenne negli anni successivi alla fine della seconda
guerra mondiale quando il suo dominio si estese da bar e locali (che erano
stati la loro dimora abituale) per
raggiungere dinner ed i drugstore, cioè i locali
frequentati dai giovani, che finalmente potevano assaporare il piacere del
ballo prerogativa che fino ad allora era riservata agli adulti. Quanti di noi, che ormai abbiamo una certa
età, non ricordano con piacere la serie TV “Happy Days”; e ancora quanti non
avrebbero voluto essere nei panni di Fonzie che con un colpo faceva partire il
motivo giusto nel momento giusto!
Fu questa
“macchina” a contribuire alla definitiva esplosione dell'R&B e del Rock
n'Roll e se vogliamo a porre il cartello FINE alla dipendenza dei locali della
musica live e quindi a preparare il terreno per l'avvento dei dj.
I primi
eventi che videro la presenza di dj dal vivo furono i balli studenteschi degli
anni cinquanta, altresì noti come platter party o sock hop. Questi raduni si svolgevano quasi sempre
nelle palestre degli istituti scolastici (dove per evitare di rovinare il
parquet bisognava entrare scalzi, da qui il termine sock hop).
Si trattava
quasi sempre di eventi legati ai cicli scolastici (apertura e chiusura
dell'anno accademico) e venivano ingaggiati i dj delle radio locali che in
pratica promuovevano le loro trasmissioni.
Uno di questi personaggi, il dj Dick Clark ebbe la brillante idea di
filmare l'evento ed in breve tempo la stazione televisiva WFIL-TV Channel 6 di
Philadelfia ne fece una trasmissione “American Bandstand” che in poco tempo
divenne talmente popolare da indurre l'ABC (una delle tre reti nazionali) ad
acquistarne i diritti per la diffusione in tutta la nazione. DJ dilettanti “spuntarono come funghi”
appropriandosi dell'idea e ben presto l'organizzazione di questi “party”
diventò una cosa di ordinaria amministrazione tra i giovani americani. Per molti che provavano, pochissimi
riuscirono a ritagliarsi un po' di fama fuori dal contesto cittadino in cui
operavano. Uno di questi merita una
citazione in quanto portò un importante innovazione “tecnologica”.
Bob Casey, che diventò popolare in Vietman
come dj dell'esercito, nel 1957 ai tempi in cui frequentava le scuole
superiori, utilizzava per le proprie “performance” un doppio giradischi realizzato
dal padre (che era un tecnico del suono) con microfono installato in um unico
blocco, due manopole per abbassare ed alzare i volumi. In questo modo riusciva a dare continuità
alla musica passando da un pezzo all'altro , impiegando il microfono per
presentare il brano mentre alzava il volume del disco entrante. Siamo ancora lontani dalla “club-culture” ma
non posiamo negare che senza le sperimentazioni di questi “proto-dj” questo
fenomeno non sarebbe mai diventato tale.
A questo
punto i semi, che avevano incontrato un terreno fertile, stavano per
germogliare e la continuità di narrazione mi spinge nella direzione dei locali
(o meglio nei luoghi) dove il fenomeno “prese il volo” .
Nessun commento:
Posta un commento