martedì 2 febbraio 2016

Last Night A DJ Saved My Life !!!

Quando si parla di Dance e Disco Music è quasi scontato fare riferimento agli artisti ed ai locali che hanno contribuito alla sua affermazione; per molti il termine Disco Music è ancora legato a Donna Summer, Gloria Gaynor, Chic, Giorgio Moroder, Studio 54 e via discorrendo.  Molto raramente qualcuno porterà in evidenza nomi come Jimmy Savile, Francis Grasso, David Mancuso (solo per citarne tre).  Eppure è proprio grazie al lavoro ed alla passione di questi ed innumerevoli altri personaggi che la “disco” uscì dalla clandestinità e si pose all'attenzione dei media.  La storia della musica dance, la musica da ballo, è legata in maniera indissolubile a coloro che l'hanno suonata : i disc jockey.
Il disc jockey rappresenta l'ultima evoluzione di un ruolo antichissimo.  I suoi predecessori sono numerosissimi, si passa dagli antichi sciamani ai sommi sacerdoti dell'era pagana; dagli eleganti “bandleader” nell'età del jazz ai direttori delle orchestre ingaggiati dai ristoranti e dai locali del jet set.

Solo nei tempi moderni moderni ballo e religione si sono scissi.  
La Bibbia recita “Per tutte le cose c'è un tempo fissato da Dio … un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare … (Ecclesiaste vers.4); nel Talmud ebraico si fa riferimento agli angeli che danzano nel paradiso, la legge rabbinica inoltre stabilisce che si balli ai matrimoni e per gli ortodossi Hasidim viene insegnato a danzare come parte integrante del loro culto.  L'Islam non vede di buon occhio il ballo ma l'ordine  Sufi dei Mevlevi in Turchia vede nella danza vorticante dei Dervisci un mezzo per adorare Allah. La cristianità periodicamente lo ha messo al bando ottenendo l'effetto opposto di praticarlo in maniera clandestina ogni qualvolta si presentava l'occasione. 

Il DJ oggi è il signore delle danze, i più affermati sono diventate vere e proprie star che guadagnano in una serata quello che un “comune mortale” non riesce a guadagnare in un anno di lavoro.   L'evoluzione della professione li ha portati dentro la “stanza dei bottoni” a presiedere direttamente le produzioni … ma non è stato sempre così.  Ed eccoci qui, pronti ad azionare la macchina del tempo, per un tuffo in un passato (non così remoto) alla ricerca di una risposta alla semplice domanda: “Chi fu il Primo DJ ?".

Per non scomodare sciamani, sacerdoti, bandleader e compagnia “suonante” riformulo la domanda: “Chi fu il primo a suonare musica registrata per intrattenere un gruppo di persone” ?

Apro una parentesi storica per meglio focalizzare la scena.
L'invenzione del fonografo a cilindro è da attribuire a Thomas Alva Edison nel 1877 che perfezionò gli studi eseguiti in Francia da Leon Scot de Martenville sulla registrazione di suoni non riproducibili (1857).  Il suo primo fonografo registrava su sottili fogli cilindrici di stagno, aveva una bassa qualità sonora, e distruggeva la traccia durante la riproduzione tanto che si poteva ascoltare la registrazione una sola volta. E' risaputo che Edison non aveva concepito la sua invenzione come uno strumento per suonare musica. 
Un piccolo passo avanti fu compiuto lo stesso anno da Emile Berliner con la creazione del primo grammofono a disco piatto, ma nei primi anni la fedeltà del suono era peggiore dei cilindri fonografici e la potenza molto limitata.  Il passo più importate in questa direzione avvenne nel 1907 quando Lee DeForest inventò il triodo o  valvola termoionica (o tubo a vuoto), primo componente elettronico "attivo" realizzato dall'uomo. Per "attivo" si intende un componente che, grazie ad una fonte esterna di energia, fornisce in uscita un segnale di potenza amplificato.
Quest'ultima invenzione, da una parte favorì lo sviluppo della radio (che finalmente poteva inviare qualcosa di diverso dall'insieme di punti e linee in codice Morse di “marconiana” memoria) e dall'altra diede impulso allo sviluppo dell'invenzione di Berliner, che aveva concepito il disco a piastra circolare come supporto audio all'interno di giocattoli parlanti. In quell'anno Berliner iniziò a produrre autonomamente dischi sotto l'etichetta Berliner Gramophone, entrando in concorrenza con i cilindri prodotti da Edison; fu allora che fissò la velocità dei suoi dischi "intorno ai 70 giri al minuto". Nonostante la velocità dei dischi non era ancora univoca per tutti i dischi prodotti dalle prime “pioneristiche” case discografiche, nel 1925 la velocità del disco fu ufficialmente standardizzata a 78 giri al minuto (per la precisione, a 78,26).  Con la diffusione commerciale dei primi prodotti discografici si aprirono due nuovi mondi: da una parte le Stazioni Radio acquisirono un grande potere  e dall'altro iniziarono a prendere piede i primi collezionisti di musica registrata. Chiusa la parentesi storica.

Il primo rivoluzionario concetto di ballare musica suonata da un DJ non nasce a New York, ma nemmeno a Parigi bensì in un piccolo sobborgo della periferia della industriale città di Leeds: Otley, West Yorkshire.  Nel 1943 in un circolo per lavoratori, al piano superiore dell'edificio, Jimmy Savile (ci ha lasciato il 29 ottobre del 2011) un eccentrico personaggio con la passione per lo swing americano, creò dal nulla una nuova figura professionale.  Armato della sua collezione di 78 giri e di un'improvvisato impianto di amplificazione realizzato da lui stesso recuperando pezzi di vecchi radiotelegrafi e un paio di grammofoni assemblò il primo impianto “Hi Fi” della storia (Hi-Fi per modo di dire) con lo scopo di far ballare la gente e per scoprire le potenzialità della sua idea.  Stando al racconto della sua biografia “As It Happens”  (Besley Books, 1974) la serata non fu priva di inconvenienti “tecnici” migliorati con il tempo grazie all'aiuto dell'amico Dave Dalmour.  In breve tempo la popolarità di questa “nuova formula” di intrattenimento con un dj che “suonava” dal vivo varcò i confini della città al punto che la Mecca Ballrooms, proprietaria di numerose sale da ballo in tutto il Regno Unitò ingaggiò Sevile per portare il suo spettacolo nelle più importanti città inglesi.  Fu in quel periodo che Sevile perfezionò il suo impianto ed ebbe la brillante idea di impiegare due giradischi per colmare lo spazio vuoto tra un brano e l'altro.  Era nato il primo disc jockey della storia e siamo nel lontano 1946.  In seguito iniziarono i primi guai giudiziari, quando un gruppo di etichette discografiche lo denunciarono (vincendo la causa) per aver suonato in pubblico i loro dischi.  Per gli amanti delle legislazioni questo episodio portò alla creazione della PPL (Phonographic Performance Limited) una società a cui tutti i locali dovevano versare una tassa quando utilizzavano musica registrata.  Un decreto del 1946 esentava dal pagamento di tale imposta a condizione che “i dischi non fossero impiegati per sostituire band ed orchestre”. Fu grazie a questo “escamotage” che Sevile riuscì a proseguire nella sua attività di “DJ itinerante” ingaggiando un'orchestra per “non suonare”, e continuò questo mestiere fino al giorno in cui venne assunto a Radio Luxemburg e successivamente (grazie alla popolarità raggiunta) alla BBC come presentatore della trasmissione culto “Top Of The Pops” la cui prima edizione andò in onda nel 1964.
Dobbiamo essere grati Jimmy Savile per aver avuto l'intuizione di suonare dischi in pubblico e per l'idea di impiegare a tale scopo due giradischi. Come scritto nella sua biografia “... idee considerate folli e senza senso quando non hai un penny diventano istantaneamente brillanti; quando inizi a guadagnarci sopra divengono geniali”.

Stabilito che Sevile è stato il primo dj da discoteca al mondo, ad onor del vero le sue “performance” non coincidono con la prima volta dove la gente ballava in un locale musica suonata da dischi; per quanto ci possa risultare sgradito la professione del deejay era stata “robotizzata” prima ancora di esistere, il suo predecessore esisteva già nel 1889 ed era una macchina: il jukebox.
Questa macchina delle meraviglie fu brevettata da Louis Glass, originario di San Francisco, Glass installò il primo esemplare, progettato dalla Pacific Phonograph Co, nella sua città natale al Palais Royal Saloon chiamandolo  “nickel-in-the-slot player”.  Questo “pachiderma tecnologico”  era costituito da una serie di tubi con stetoscopi collegati ad un fonografo elettrico Edison Classe M alloggiato in un armadio di legno di quercia.  Funzionava a monete (US 3 cent nikel) ed era corredato da salviettine di cotone per la pulizia degli auricolari dopo l'utilizzo.  Anche Edison realizzò alcune macchine simili, con la variante del posizionamento su carrelli della struttura contenitiva. Quest'ultimo particolare consentì di mostrare le sue “creature” a fiere e mostre in tutto il paese.  Fu con l'avvento dell'amplificazione (e lo sviluppo dei primi componenti elettronici) che queste macchine iniziarono a diffondersi a macchia d'olio in tutto il paese in bar, taverne e pub, soprattutto nelle cittadine rurali del Sud.  Si stima che alla vigilia della “Grande Depressione” ce ne fossero in circolazione oltre 15.000. Quando la crisi economica colpì duro, i proventi derivati dall'impiego dei jukebox e dal loro continuo rifornimento con le ultime novità fu essenziale per la salvezza dell'industria musicale. La fine del proibizionismo nel 1933 diede un notevole impulso alla diffusione di queste “sound machine” in quanto là dove prima si trovavano bische e locali per lo spaccio clandestino di liquori vennero alla luce bar e ritrovi per il tempo libero e tutti avevano il loro jukebox.  All'inzio della seconda guerra mondiale il loro numero era cresciuto a circa 500.000.  
Il jukebox si rivelò inoltre uno strumento utilissimo per determinare l'andamento della popolarità dei brani ascoltati.  Da queste macchine si riusciva a determinare il numero delle volte in cui un motivo era stato ascoltato dando spunto per la creazione delle prime classifiche di gradimento. La US Top 40 (madre di tutte le classifiche) nacque proprio in funzione dei dati raccolti dai jukebox.
La massima diffusione del jukebox avvenne negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale quando il suo dominio si estese da bar e locali (che erano stati la loro dimora abituale) per  raggiungere dinner ed i drugstore, cioè i locali frequentati dai giovani, che finalmente potevano assaporare il piacere del ballo prerogativa che fino ad allora era riservata agli adulti.  Quanti di noi, che ormai abbiamo una certa età, non ricordano con piacere la serie TV “Happy Days”; e ancora quanti non avrebbero voluto essere nei panni di Fonzie che con un colpo faceva partire il motivo giusto nel momento giusto!

Fu questa “macchina” a contribuire alla definitiva esplosione dell'R&B e del Rock n'Roll e se vogliamo a porre il cartello FINE alla dipendenza dei locali della musica live e quindi a preparare il terreno per l'avvento dei dj.
I primi eventi che videro la presenza di dj dal vivo furono i balli studenteschi degli anni cinquanta, altresì noti come platter party o sock hop.  Questi raduni si svolgevano quasi sempre nelle palestre degli istituti scolastici (dove per evitare di rovinare il parquet bisognava entrare scalzi, da qui il termine sock hop). 
Si trattava quasi sempre di eventi legati ai cicli scolastici (apertura e chiusura dell'anno accademico) e venivano ingaggiati i dj delle radio locali che in pratica promuovevano le loro trasmissioni.  Uno di questi personaggi, il dj Dick Clark ebbe la brillante idea di filmare l'evento ed in breve tempo la stazione televisiva WFIL-TV Channel 6 di Philadelfia ne fece una trasmissione “American Bandstand” che in poco tempo divenne talmente popolare da indurre l'ABC (una delle tre reti nazionali) ad acquistarne i diritti per la diffusione in tutta la nazione.  DJ dilettanti “spuntarono come funghi” appropriandosi dell'idea e ben presto l'organizzazione di questi “party” diventò una cosa di ordinaria amministrazione tra i giovani americani.  Per molti che provavano, pochissimi riuscirono a ritagliarsi un po' di fama fuori dal contesto cittadino in cui operavano.  Uno di questi merita una citazione in quanto portò un importante innovazione “tecnologica”.  
Bob Casey, che diventò popolare in Vietman come dj dell'esercito, nel 1957 ai tempi in cui frequentava le scuole superiori, utilizzava per le proprie “performance” un doppio giradischi realizzato dal padre (che era un tecnico del suono) con microfono installato in um unico blocco, due manopole per abbassare ed alzare i volumi.  In questo modo riusciva a dare continuità alla musica passando da un pezzo all'altro , impiegando il microfono per presentare il brano mentre alzava il volume del disco entrante.  Siamo ancora lontani dalla “club-culture” ma non posiamo negare che senza le sperimentazioni di questi “proto-dj” questo fenomeno non sarebbe mai diventato tale. 

A questo punto i semi, che avevano incontrato un terreno fertile, stavano per germogliare e la continuità di narrazione mi spinge nella direzione dei locali (o meglio nei luoghi) dove il fenomeno “prese il volo” .

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